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Maturità 2024. “Minosse o della Legge”: analisi del testo di Platone per la seconda prova

Il testo proposto per il secondo esame finale del 2024 del liceo classico è “Minosse o la Legge” di Platone.

Questo autore non era stato selezionato per la Maturità dal 2010 ed era molto atteso. Il testo si basa su un dialogo immaginario tra il filosofo greco Socrate e il re di Creta, il mitologico Minosse, sul tema delle leggi e della giustizia. Nel dialogo platonico Minosse appare come una figura sfuggente e indecifrabile: chi è veramente? Un sovrano saggio e giusto o un tiranno? Lo scopo del filosofo è risolvere questa contraddizione.

Il testo greco di Platone che gli studenti dovranno analizzare è un estratto in cui è presente un’ode di Omero al re Minosse: il grande poeta greco infatti giudica il sovrano cretese superiore a tutti i suoi eroi. Omero attribuiva a Minosse il privilegio di essere stato educato da Zeus e di conversare con gli Dei: si racconta infatti che il re di Creta conversasse familiaremente con il sovrano dell’Olimpo, “per nove anni parlò con Zeus”, si dice, poiché, secondo il mito, Minosse era figlio di Zeus e di Europa, una principessa fenicia. Apprese quindi i principi per governare direttamente dal sovrano per eccellenza, fu istruito nella virtù attraverso il dialogo.

Al re mitologico va infatti attribuita l’intuizione di aver dato leggi scritte a Creta, prima di chiunque altro, instaurando così un governo giusto e duraturo, rendendo l’isola dominatrice del Mar Mediterraneo e dandole una fiorente economia. Ma era davvero il legislatore ideale? Le leggi devono essere durature o devono essere giuste?

Questa, in estrema sintesi, è la domanda posta da Platone.

Vediamo più in profondità i temi e le analisi, in particolare la risposta alla terza domanda dedicata al rapporto tra Minosse e Zeus.

“Minosse o la Legge”: il testo di Platone per l’esame finale 2024

Amazzonia

Al centro del dialogo di Platone c’è un discorso politico, ancora oggi di grande attualità. La questione decisiva ruota attorno alla domanda: qual è la legge? e, in particolare, qual è il rapporto della legge con la giustizia?

Nella concezione platonica la legge non può ridursi alla volontà di un sovrano, ma deve essere collegata ad un ideale più alto. Il vero sovrano, il giusto sovrano, quindi per Platone è il saggio, il filosofo, colui che indirizza la legge al Bene Supremo secondo l’ideale socratico di cui il pensatore greco era discepolo.

Il rapporto tra leggi e giustizia era di capitale importanza per Platone, non è un caso che l’ultima opera dell’autore, rimasta incompiuta, si intitolava Νόμοι, ovvero Leggi. In quest’ultimo scritto platonico, pubblicato postumo, possiamo individuare un cambiamento nel pensiero del filosofo: inizialmente Platone credeva che

il politico dovrebbe essere al di sopra della legge, mentre nei suoi ultimi dialoghi lo pone come custode e protettore delle leggi e colui che ne favorisce l’applicazione tra i cittadini.

“Minosse o della Legge”: il rapporto tra Minosse e Zeus

La tesi centrale degli scritti di Platone è pedagogica: frequentare uomini “virtuosi” eleva il pensiero dell’individuo. Il rapporto tra Minosse e Zeus appare come un diretto parallelo a quello instaurato tra Platone e il suo maestro Socrate, di cui il filosofo si fece portavoce, rimanendo fedele agli insegnamenti socratici e, allo stesso tempo, modificandoli secondo la propria concezione. L’oggettività della verità, secondo Platone, non dipende dal confronto dialettico, ma da un’idea assoluta che esiste al di sopra dell’essere umano.

In questo rapporto tra maestro e discepolo, in cui il primo è responsabile della formazione del secondo, possiamo individuare il fenomeno dell’effetto Pigmalione: secondo il quale le aspettative del maestro modellano e influenzano il percorso dell’allievo. Anche l’effetto Pigmalione (in psicologia meglio conosciuto come effetto Rosenthal, ndr) è in fondo un prodotto della mitologia greca. Secondo la leggenda, Pigmalione era uno scultore-re di Cipro che scolpì una donna in marmo a immagine e somiglianza di Afrodite e in seguito si innamorò perdutamente di lei. La trattò come una vera donna, dandole carezze, parlandole di lei e, infine, grazie all’intercessione della Dea stessa, riuscì a trasformarla in una vera donna e a prenderla come sua sposa. Il mito di Pigmalione è considerato archetipico dalla psicologia, perché permette di dimostrare come le aspettative dell’insegnante nei confronti dello studente influenzino il rendimento e il percorso dello studente stesso; ma riguarda, in generale, chiunque ricopra un ruolo di leadership, riuscendo a sviluppare pienamente la personalità del discepolo, affinandone le doti e le virtù, smussandone vizi e difetti.

Le aspettative sociali, in particolare quelle di coloro che ci circondano, svolgono un ruolo chiave nello sviluppo della personalità di un individuo: da qui il mito greco si collega alla moderna psicologia sociale.

Il candidato illustra il concetto attraverso esempi: da Pigmalione a Recalcati

La relazione tra Minosse e Zeus, così come quella tra Platone e il suo maestro Socrate, può essere letta attraverso la lente dell’effetto Pigmalione.

Socializzare con coloro che “riteniamo degni della nostra stima” accende “l’animo alle cose forti”: la mitologia greca, in questo senso, è ricca di esempi virtuosi. Il rapporto tra maestro e allievo era uno dei fondamenti della società greca e la stessa storia della filosofia occidentale si basa sull’interazione tra i didàskalos e i mathetés. Lo stesso Platone lo descriveva in questi termini: il rapporto tra maestro e allievo, ovvero il rapporto tra chi cura l’anima e chi quella cura, è lo stesso che esiste tra un farmaco e la cura di un corpo. Nel Protagora, Socrate accenna alla distinzione tra “cibi del corpo” e “cibi dell’anima”, spiegando al giovane Ippocrate il modo in cui gli insegnamenti agiscono profondamente nell’anima di chi li ascolta e li assimila. Il rapporto duale tra maestro e discepolo doveva sfociare in un “divenire di sé” attraverso l’altro; ma il vero scopo pedagogico era che finalmente il discepolo, dopo essersi nutrito di idee ed elevato, superasse il maestro, proprio come avviene tra Socrate e Platone. L’insegnante, alla fine, deve restare solo, questa è la prerogativa purché l’atto educativo sia compiuto integralmente, lo sostiene anche Massimo Recalcati nel saggio “Il tempo della lezione. Per un’erotica dell’insegnamento” (Einaudi, 2014). Secondo Recalcati l’insegnamento non può ridursi alla semplice trasmissione del sapere, perché in questo senso è fondamentale il rapporto che si instaura tra docente e allievo, dovuto non tanto alla tecnica ma allo stile educativo del docente. In questa prospettiva, la figura dell’insegnante è insostituibile in un processo di apprendimento, perché la trasmissione del sapere non può ridursi a una ciclica e arida ripetizione di nozioni e appunti.

L’amore per la conoscenza, secondo Recalcati, non può ridursi al riciclo o alla pura “somministrazione del sapere”, va rinnovato in un’ottica di continua innovazione e di continua sorpresa. Ritorna in questo caso l’insegnamento di Socrate, il maestro per eccellenza della scuola antica che, nelle parole riportate dal suo fedele discepolo Platone, sosteneva: “So di non sapere”. Il maestro non si considerava il detentore supremo del sapere, ma si poneva sullo stesso piano del discepolo in un rapporto soprattutto dialogico. Grazie a questa fondazione, l’antica Grecia pose la cultura come culla della società, basandosi presto su un patto educativo. Secondo il filosofo Wolff, le teorie filosofiche più antiche derivano da Socrate, proprio lui che non riconosceva alcun discepolo e affermava di non avere nulla da insegnare. Lo so, non lo so, è il grande paradosso socratico alla base dell’insegnamento: i discepoli di Socrate – compreso lo stesso Platone – fonderanno poi ciascuno la propria dottrina nel nome del Maestro. La prospettiva dialogica della trasmissione della conoscenza è, in definitiva, la stessa che il testo platonico propone attraverso il rapporto tra Minosse e Zeus: il Dio dà al figlio-discepolo gli strumenti per pensare, egli poi ne farà buon uso. L’insegnamento di Socrate era basato sul dialogo e non sulla pura trasmissione della conoscenza, ed è proprio questo concetto che Platone sviluppa a suo modo in Minosse o la Legge: lo studente ammira il maestro e quindi lo imita, così Minosse imita il re alcuni dei.

Era la stessa verità che già Platone affermava nella Repubblica, secondo la quale:

È impossibile non imitare coloro che ammiri.

Nel testo della Repubblica, Platone sottolinea, attraverso la voce di Socrate, come «l’uomo non può fare chiarezza solo con se stesso», pertanto nessuno può apprendere nel chiuso recinto della propria individualità. Le relazioni, anche le amicizie, e soprattutto il dialogo sono modalità fondamentali di trasmissione della conoscenza e, soprattutto, veicolo di elevazione: il desiderio di somigliare, di emulare, spinge “l’inferiore verso il superiore”.

articolo in aggiornamento

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